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Hombre del partido

Simone Petrolli, futuro ingegnere e difensore

A volte, nello sport, capitano. Magari imprevedibili, e per questo ancora più sofferte. Stiamo parlando delle stagioni storte, quelle nelle quali tutto gira male, gli ostacoli appaiono insormontabili e tutte le aspettative estive vengono spazzate via da un colpo di vento. L’Arco ha certamente vissuto una di queste annate e la retrocessione in promozione è realtà da qualche settimana. Tra i più giovani del gruppo c’è Simone Petrolli, difensore centrale classe 1990. Anche per lui, come per tutto il gruppo, la stagione non sarà di certo da archiviare nel cassetto “da ricordare”. La retrocessione, ma anche un paio di infortuni e la delusione di dover ripartire in fretta e furia dal torneo delle regioni con la rappresentativa per il terremoto dell’Abruzzo.
Simone, eccoci a parlare di una stagione sfortunata. Con il tuo Arco è andata male: come mai secondo te?
«Siamo partiti con aspettative totalmente diverse, e invece alla fine ci troviamo a commentare una retrocessione. Credo che, almeno sulla carta, nessuno ad inizio anno avrebbe pensato di vedere l’Arco retrocesso, ma poi i risultati hanno detto il contrario e sono quelli che contano. Le cause? E’ molto difficile trovarle, si tratta di un mix di cose che non hanno funzionato. La squadra è stata costruita con un criterio diverso rispetto a due stagioni fa ed evidentemente non è funzionato. Adesso bisognerà analizzare con attenzione la situazione e ripartire imparando dagli errori commessi»
Da te stesso ti saresti aspettato di più?
«L’anno scorso avevo disputato un buon campionato mentre ora ho giocato al di sotto delle mie aspettative e credo anche di quelle degli altri. Penso di aver meritato di giocare le partite che ho fatto e al tempo stesso di aver meritato di non giocare quelle nelle quali sono stato fuori. Certo gli infortuni, come quello al naso nella partita contro il Mori, non mi hanno aiutato».
Hai svolto la trafila delle giovanili nell’Arco e poi sei stato proiettato in prima squadra. Al tempo stesso studi: sei sempre riuscito a conciliare le due cose?
«Dai Giovanissimi sono venuto ad Arco e, dopo le giovanili, ho fatto due stagioni in prima squadra. Quest’anno farò la maturità al Liceo Scientifico e poi sono iscritto ad Ingegneria. Con questa scelta probabilmente le strade per puntare in alto nel calcio si chiuderanno, ma non è un problema e vedremo cosa mi riserverà il futuro. Il calcio per me rappresenta una valvola di sfogo, mi piace e mi appassiona e continuerò a dare il massimo in allenamento ed in partita. Se poi questo massimo vorrà dire giocare in Eccellenza, in Promozione o in altri campionati lo dirà il tempo. Non ho mai vissuto il calcio con troppe ambizioni, ho colto e coglierò in futuro quello che arriverà, senza montarmi la testa. Fino ad ora ho fatto una bella carriera, ho giocato al Beppe Viola a buoni livelli, sono stato convocato in rappresentativa e sono approdato in prima squadra, quindi non mi lamento. Penso, in tutta onestà, che il mio livello sia tra Promozione ed Eccellenza, non di più».
In cosa puoi migliorare?
«Se gioco in questa categoria è evidente che devo migliorare in tutto. Diciamo che la costanza e l’impegno in allenamento ci sono, devo crescere tecnicamente e tatticamente. Ogni partita scopro un errore che commetto o un particolare da correggere: insomma il tempo e l’esperienza mi permetteranno di migliorare ed imparare. Cosa altro conta per la crescita? Credo la società, che deve essere organizzata e deve dare spazio per esprimersi ai giovani, e poi l’allenatore. Certo che in Eccellenza, allenandosi sei ore in settimana, il maestro conta ma fino ad un certo punto. Alla fine dei conti quello che conta veramente è l’allievo».
A proposito di mister. I più rappresentativi nella tua carriera?
«Fino ad ora sono sempre stato fortunato ed ho avuto bravi allenatori. Quello che mi è rimasto più impresso è Gabrielli, che mi ha fatto esordire e mi ha saputo valorizzare al massimo. Poi direi Stefano Manica: insieme a lui sono cresciuto e mi ha insegnato molte cose. Quello che vorrei avere? Direi Orsini. Credo che grande parte del merito della vittoria dell’Albiano sia sua».
Tra i giocatori giovani che conosci, magari quelli nel giro della rappresentativa, chi secondo te potrà sfondare?
«Ti faccio due nomi, ovvero Martin Rich del Brixen, un nome sul quale puntare ad occhi chiusi e Relich del Termeno. Poi, parlando di attaccanti, direi il mio compagno Risatti».
Parlando di serie maggiori, cosa mi dici di Mezzocorona e Trento?
«Le seguo sempre sul giornale. Il Mezzo va sempre bene direi: ad inizio anno erano un po’ un’incognita, perché dovevano ripartire quasi da zero avendo cambiato molto e sapevano che ripetersi sarebbe stato quasi impossibile. Bene o male hanno sempre viaggiato a metà classifica ed ora manca poco o nulla per la salvezza conquistata facendo giocare tanti giovani. Per quanto riguarda il Trento ogni anno ad agosto si parte con grandi aspettative ma poi alla fine sono sempre in difficoltà. Peccato perché la città meriterebbe palcoscenici diversi. Spero si salvino, possono ancora farcela. »
Torniamo alla tua stagione sfortunata. Anche con la rappresentativa non è andata bene.
«Purtroppo sì. Eravamo a Giulianova, a circa 50 chilometri da L’Aquila quando è avvenuto il terremoto. L’abbiamo sentito ma non ci siamo resi bene conto della gravità se non vedendo come tutti le immagini alla tv. La mattina stessa il presidente Carbonari ha deciso di farci tornare indietro: è stato brutto lasciare il torneo, ma senza dubbio era la decisione giusta da prendere».
Un’ultima domanda sul calcio “dei grandi”. Per chi tifi e come vedi il calcio italiano?
«Tifo Inter e credo che dopo la vittoria con la Lazio la strada sia spianata. Tuttavia con l’Inter non si sa mai e quindi aspettiamo a festeggiare. Nel mio ruolo l’idolo è sempre stato Materazzi, anche prima del grande mondiale che ha disputato. Poi naturalmente c’è Ibra, che fa delle cose straordinarie. Perchè andiamo peggio rispetto alle squadre inglesi o spagnole? Credo sia una questione di filosofia calcistica. Loro dai pulcini alla prima squadra impostano moduli e giocatori, il calcio non è esasperato e non esistono tutti i tatticismi che ci sono da noi. Poi c’è un discorso anche di disponibilità economica: tra Italia e Inghilterra c’è una grande differenza».

Autore
Matteo Lunelli
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