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Gianpaolo Ossola: «Sono amareggiato e preoccupato»

È il Trento (purtroppo) la squadra del momento. La retrocessione maturata domenica scorsa ha fatto tanto rumore: quello che nessuno si sarebbe immaginato potesse succedere è accaduto, e gli aquilotti nella prossima stagione saranno in Eccellenza. Si tratta della seconda retrocessione consecutiva, ma stavolta il ripescaggio è impossibile ed il futuro è certo. O meglio, è certa la categoria, mentre su tutto il resto le voci si rincorrono. I tifosi vogliono la testa dei colpevoli di questo ennesimo fallimento, ma, a quanto pare, l'unico che pagherà sarà mister Renzo Merlino, mentre il presidente Di Benedetto e il suo vice Fattinger dovrebbero restare in sella. I se e i condizionali, tuttavia, sono d'obbligo. L'unica triste certezza, come accennato, si chiama Eccellenza. Le domande incalzano e i perché di questo fallimento restano senza risposta. In questi giorni un po' tutti, da ex giocatori a vecchie glorie, da giornalisti ad imprenditori, hanno espresso il proprio parere sulle prospettive future. Noi di Sportrentino.it siamo andati a sentire l'ex Presidente Gianpaolo Ossola, a conti fatti l'ultimo massimo esponente gialloblù ad aver ottenuto risultati di un certo prestigio. E subito ci ha tenuto a precisare un concetto. «Criticare adesso, e da esterni, è facile. Non si conoscono particolari e sfaccettature, e quando io ero Presidente mi arrabbiavo molto con chi parlava senza conoscere. Tuttavia quest'anno si è sicuramente toccato il fondo e quindi anche io mi sento legittimato ad esprimere il mio parere».
Allora Presidente ci spieghi le cause, secondo lei, di questa debacle.
«Credo che la causa principale sia stata una cattiva gestione complessiva. Si è partiti male, con un organico scarno e forse non all'altezza. Poi sono stati inseriti tanti, troppi giocatori, spesso senza capo né coda, con una serie di doppioni. L'allenatore non aveva una grande esperienza di categoria e la società, dandogli così tanti giocatori, l'ha indotto all'errore. Io ho visto il Trento due volte, quando già giocavano i vari Bez, Meligeni e altri rinforzi. La squadra era buona, l'ho anche vista vincere, ma, ribadisco, i giocatori erano troppi e Merlino è stato messo in difficoltà dalla società. Qualcuno in questi giorni mi ha detto che la media punti nell'era Gradella è stata superiore a quella fatta registrare dopo l'ampio mercato di riparazione. Ecco, questo dato, se vero, spiega tutto».
Errori della dirigenza quindi, che pure aveva a disposizione un budget non indifferente...
«Ho letto sui giornali di un budget di 800 mila euro, ma alcune mie fonti, molto ben informate e attendibili, mi parlano di un milione e 50mila euro. Mi viene da pensare che io sia stato davvero fortunato nella mia avventura aquilotta, perché con soli 980 milioni di allora vinsi il campionato con la prima squadra e vari titoli giovanili, pagando tutti i premi ai giocatori. Per amor del cielo, sono trascorsi dieci anni ed i tempi sono cambiati, ma se queste cifre fossero vere ci sarebbe veramente da riflettere. Io penso che ci siano troppe figure in una società: Ds, Dg e altri. Ai miei tempi il mio collaboratore mi indicava un giocatore, io trattavo e non dovevo stipendiare tutte queste persone. Fattinger ha dichiarato che non conosceva il campionato di D, mi pare una cosa incredibile considerando che ha comprato tantissimi atleti».
I tifosi tuttavia continuano a lamentare l'assenza di istituzioni e Provincia nel finanziare il Trento. Hanno ragione?
«Ai miei tempi l'ente pubblico, ovvero l'assessore Benedetti in particolare, ci ha dato al massimo 55 milioni. Sentendo le cifre che girano adesso si può sempre chiedere ed avere di più. I tempi sono cambiati, ma so che qualcosa hanno fatto e, in fin dei conti, i soldi non mancavano, anche se non conosco le cifre esatte del contributo pubblico. Se fossi io il sindaco, comunque, risponderei alle richieste mostrando i risultati ottenuti e concludendo che alla luce di questo disastro non è pensabile pretendere di più».
Come vede il futuro?
«Sono preoccupato. Leggendo i giornalimi pare di capire che si ripartirà con le stesse persone e questa sinceramente è una ricetta che fa un po' di paura. L'Eccellenza è veramente dura, ci deve essere una società alle spalle tosta. A me dispiace tantissimo per tutta la gente che ha a cuore il Trento. Un mio ex giocatore l'altro ieri mi ha scritto: “Presidente, è veramente un peccato. In fin dei conti siamo stati gli ultimi ad ottenere certi risultati. Una parte di me è restata a Trento, speriamo in un futuro migliore”. Anche noi siamo retrocessi, però avevamo undici trentini in rosa in serie C, molti dei quali di grande valore. Quest'anno, con la mia Perginese, negli esordienti, abbiamo battuto il Trento. Ai miei tempi una cosa così era impensabile, fuori da ogni concezione di calcio. Con il Trento vincemmo tutti i tornei giovanili e sarebbe stato impossibile essere battuti da Pergine».
A proposito di giovanili e atleti regionali, come vede il calcio in Trentino. Perché non si riesce a creare giocatori di alto livello?
«Finché si fa calcio così di talenti ne verranno fuori ben pochi. Qualcuno in realtà c'è, e penso ad alcuni giovani che sono al Milan, al Chievo o al Mezzocorona. Più in generale è una questione di grandi numeri: su 10.000 calciatori è relativamente facile farne emergere dieci, mentre qui da noi su mille è difficile tirarne fuori dieci. Poi c'è il male del campanile. Un giocatore che raggiunge un certo livello è costretto ad espatriare, ma spesso preferisce restare qui, non fare fatica, non compiere sacrifici. E questo è un problema serio. L'Eccellenza trentina mi pare stia diventando una corsa a chi beve più birre, molti giocatori non sono professionali e non vanno a letto presto il sabato sera. Ecco perché, quando andiamo fuori regione, prendiamo sempre delle gran batoste. Da noi il calcio è un'oasi: i giocatori sono sempre gli stessi, guadagnano bene e si allenano poco. È pazzesco pensare che ci sia gente che piglia 2.000 euro al mese, molto più di alcuni giocatori del Mezzocorona, che sono in serie C, sono professionisti e girano mezza Italia. Giocatori grandi nel piccolo, così mi piace definirli».

Autore
Matteo Lunelli
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